SETTIMANA CHAMPAGNAT

Anno nuovo e immancabile, ritorna la Settimana Champagnat!

Non fraintendetemi, non sto parlando della settimana allo Champagnat, la nostra Scuola di Genova, ma della settimana che ogni anno si dedica al nostro Fondatore Marcellino.

Quante volte abbiamo sentito: “Ma già lo conosciamo! Cosa c’è ancora da sapere?” Oppure: “Che ci inventiamo quest’anno per non ripetere quello che già sappiamo e che abbiamo fatto nel passato?”

Se queste sono le premesse per vivere una settimana speciale a lui dedicata, probabilmente cominciamo nel peggiore dei modi e soprattutto rendiamo palese la nostra scarsa conoscenza di Marcellino che non è assimilabile ad una materia scolastica da conoscere e sulla quale ci sarà poi un’interrogazione… Marcellino è, oggi come ieri, una VITA e UN’ESPERIENZA al tempo stesso formidabile e fatta di vita semplice e quotidiana che io, tu e chissà quanta altra gente viviamo.

E allora mi domando: “Che senso ha dedicargli UNA SETTIMANA?”

1. Forse per permetterci di farlo entrare nel groviglio delle nostre innumerevoli attività per insegnarci a saper scegliere quali sono le cose su cui puntare, quali sono i traguardi da raggiungere e come fare. Ma tutto questo in una modalità un po’ diversa da quella che abitualmente mettiamo in opera, un procedere che lui ha imparato da una persona grande ed umile: Maria.

Non te l’aspettavi, di’ la verità. Oggi i modelli che ci propongono sono altri, è vero?

Maria, una donna come tante della sua epoca, ma che aveva una caratteristica particolare: amava quello che faceva, sapeva ascoltare e conservare nel suo cuore tutto quello che viveva e soprattutto sapeva dire Sì…

In una parola: era disponibile. Un modello di vita sulla quale Marcelino ha voluto costruire il suo progetto di vita. E come Maria, la Buona Madre, anche Marcellino è lì per indicarci con pazienza e amorevolezza che non c’è una strada migliore di quella di essere strumenti dell’Amore di Dio. La sua esperienza lo ha portato a dedicare questa cura soprattutto verso i bambini e i giovani che erano nelle condizioni più sfavorevoli: materialmente e spiritualmente. I suoi primi passi a La Valla e l’esperienza Montagne, in particolare, sono lì a ricordarci che per Marcellino ogni incontro, sia su un letto di sofferenze che in mille altre situazioni di vita, erano l’occasione per “palare” di Gesù.

Diremmo oggi, per testimoniare che non esiste un’altra forza più grande dell’amore: l’unica che può salvare la nostra vita.

2. Forse anche per darci la possibilità di entrare nelle esperienze meno conosciute della sua vita, quelle dolorose nelle quali ha imparato a fare tanti passi indietro e a sperimentare che la sua opera non era la sua, ma era opera di Dio e lui solo un piccolo strumento. Come non pensare agli anni della sua malattia: una stagione in cui Marcellino sentiva che tutto ciò che aveva costruito fino ad allora, con tanti anni di impegno e di dedizione a La Valla, crollava come un castello di carta, mentre la malattia lo attanagliava e il biasimo della gente e dei suoi superiori cresceva. Marcellino entrò in un periodo buio quando, nel periodo natalizio del 1825, visse il crollo della sua salute rischiando di morire. La causa? Il ritmo forsennato e dispendioso del lavoro che dovette mantenere per un lungo periodo di tempo. Marcellino stesso riconobbe, anni dopo, che in questo periodo “consumava la sua forza e il suo stipendio”. Santa Teresa, esperta di queste situazioni oscure, si era già chiesta:  “Una persona che rischia di rimanere senza la sua “impresa” come reagisce?”. Sentirsi senza la sicurezza del denaro è fondamentale per sapere in chi abbiamo riposto la nostra fiducia. Marcellino dovette superare anche questa esperienza. Quando la gravità del suo stato di salute fu noto a tutti, il primo problema urgente fu quello di farsi carico dei debiti sostenuti, visto che i creditori volevano recuperare ciò che avevano dato in prestito. I soliti commenti della gente lo accompagnarono: “Il venerabile… certo ha dovuto sopportare tante contraddizioni, ma caspita solo un pazzo può costruire senza avere fondi…” L’onorabilità di Marcellino, dopo questi momenti, diminuì considerevolmente. Non solo tra gli amici e colleghi che lo abbandonarono o tra le persone che non gli risparmiarono le critiche, ma anche perché lo stesso Consiglio Arcivescovile gli ritirò la sua fiducia e propose l’annessione del suo nascente istituto con un altro che avesse più stabilità.

3. Forse per cominciare finalmente a non considerarlo più come quei santi che fin dalla culla erano dei predestinati. Quel tipo di fortunati e baciati dalla buona sorte che invece a tutti noi ha riservato solo spine in questa valle di lacrime! Per cominciare a guardare la storia reale nella quale il nostro Marcellino è riuscito a trovare i semi della presenza di Dio che ha fatto tutto, ma che lo ha fatto, ricordiamolo bene, chiedendo la sua collaborazione. Non solo nei momenti esaltanti, ma anche in quelli più incomprensibili e faticosi che ha vissuto negli ultimi anni della sua vita in cui le sue dimissioni da superiore dei fratelli, e l’affidarsi nelle mani di Padre Colin gli hanno fatto sperimentare l’abbandono completo in Dio: “Ho avuto grazie di stato per iniziare l’opera, però non è detto che devo avere quelle per continuarla” (Ritiro di Meximieux in cui diede le sue dimissioni nelle mani di padre Gian Claudio Colin, superiore generale  della Società di Maria). Era il 1837. Si apprestava a vivere gli ultimi suoi tre anni di vita abbandonandosi totalmente al Signore. Colin aveva altre idee sui fratelli. Poteva rompere quella “creatura”, quella “impresa”, come la chiamò Santa Teresa, a cui aveva dedicato tutti i suoi sforzi. Marcellino è quel bambino, sempre per usare l’espressione di Santa Teresa, che si addormenta tra le braccia di suo padre. E così cerca di esprimere la pace che regna nel suo cuore, seppur spezzato. Ha fatto tanto, si è speso totalmente e ora? Gli viene chiesto di mettersi da parte; altri porteranno avanti quello per cui ha vissuto… Come è strana la sorte di chi si affida totalmente al Signore!

E proprio a questo punto un certo Gabriele Rivat, il futuro Fr. Francesco, che fu affidato dalla mamma a Marcellino può aiutarci a rispondere alla domanda sul senso di questa settimana.

Era un giorno di ritiro, nei primi anni dell’avventura a La Valla, quando confidò a Marcellino “Ho scoperto che Dio mi chiede di fare i voti”.

Marcellino con tutta la sua paternità lo guardò negli occhi con profondo affetto:  “Parlami di questa scoperta!”

E Fr. Francesco: “Dio non mi chiede cose straordinarie, ma vuole che io faccia con grande passione, fervore e costanza le cose comuni e ordinarie che, con questo mezzo, acquisteranno grande valore davanti a Lui .”

Eccolo il motivo di questa settimana: percepire come Fr. Francesco la nostra vocazione come fedeltà a Dio nelle piccole azioni. L’amore si manifesta nella passione e nell’affetto con cui vengono eseguite. L’esperienza delle difficoltà aveva incoraggiato Marcellino a dare importanza alle azioni ordinarie di fronte all’eroismo di altri tempi e Francesco aveva afferrato il messaggio.

Anche noi vogliamo fare nostro questo messaggio! Vogliamo afferrarlo e viverlo.

Ben venga questa settimana!

Solo una settimana è sufficiente?

Eh sì, questa domanda vorrei ora girarla al grande numero dei fratelli maristi che hanno dedicato tutta la loro vita per rendere concreto IL SOGNO che Marcellino ha cullato, accarezzato e concretizzato nella sua esperienza iniziata quel lontano 2 gennaio 1817 a La Valla.

E soprattutto sentire la loro gioia! Essere un ALTRO MARCELLINO, UN ALTRO SOGNATORE, UN ALTRO COSTRUTTORE DELL’AMORE!

Archivi