Il caldo che si appoggia ancora con decisione sulle nostre giornate di fine agosto non ci deve ingannare: manca poco al grande rientro, al settembre di fine vacanza, all’inizio di un nuovo anno scolastico. Da dove rincominciare quest’anno? Perché quando è abbastanza semplice, lunedì 4 inizia l’asilo (rinnovato, nuovi colori, nuove finestre, nuovo corridoio degli addii e dei ritrovamenti…), in quella stessa mattinata tutti i docenti, alle nove, ci vedremo in teatro per respirare l’emozione di nuovi progetti, di volti diversi, di ringraziamenti a chi ha camminato con noi e in quel giorno sarà presso un’altra scuola, il 14 poi sarà un giovedì di salti ed emozioni, di curiosità e aspettative, alle nove sono attesi tutti gli alunni della scuola: la campanella chiama, lo Champagnat risponde…
Quando è semplice, il perché, il come, il con chi, il verso che cosa potrebbero essere lo spunto di infiniti discorsi, importanti, ma forse troppo impegnativi: siamo ancora alla fine d’agosto, quando della scuola tutti sono esperti ed emettono giudizi (liceo in 4 anni? obbligo fino ai 18? scuola svizzera imprudente?) che a settembre saranno dimenticati perché tutti presi dalla realtà di questi alunni, di questi professori, di queste leggi e di questa scommessa educativa che ogni anno si rinnova in un patto pubblico di fiducia da parte degli alunni e di dedizione da parte dei docenti (vale anche il contrario).
Mi preme dirvi da dove io, Massimo Banaudi, per il terzo anno preside e coordinatore di questa scuola, vorrei ripartire. Da dove, da quali spazi reali o mentali, da quali geografie del cuore, da quali esempi vorrei rincominciare quest’anno. Sono spazi che suggerisco a me stesso (e a voi lettori, docenti e famiglie, se volete)
Il cortile di Sandro (o dell’attenzione)
Fratel Sandro Felli, a lungo docente nella nostra scuola, nel cortile ci ha passato i pomeriggi, e ora che lui non c’è più io ho la strana sensazione di vederlo ancora camminare fra la portineria e il giardinetto, con un ragazzo vicino, sentirlo di filosofia e storia passando per il Fanfulla e il calcio per finire poi a parlare delle tempeste nel cuore, che se un ragazzo non le avesse, le tempeste, sarebbe un brutto segno, meglio parlarne, allora. Sandro o della pazienza dell’ascolto, della mitezza, del sorriso sincero, dell’attenzione a tutti, ai più incasinati specialmente.
Questo cortile dello Champagnat, quello di Sandro (non quello delle ciatelle ), mi parla di attenzione all’alunno, di ascolto, di partecipazione matura alle prime prove della vita, di accoglienza verso i ragazzi così come sono, di privilegio da accordare proprio ai casi più difficili. Mi sembra un buon luogo da cui ripartire.
Lo chiederò a Sandro stesso (sono sicuro che è già lì, in cielo, a tifare per i suoi alunni che non scordava neanche dopo anni), in una santa Messa che a fine Settembre celebreremo allo Champagnat per onorare lui e per ricordare a noi che la scuola ha molti spazi, e il cortile non è il meno importante, specie se ci cammina un maestro con un discepolo (più o meno felice…) a fianco.
L’abbraccio del papà di Xavier (o del perdono insanguinato)
Xavier aveva tre anni, era un alunno della nostra scuola marista di Rubì, a 70 chilometri da Barcellona e il pomeriggio di giovedì 17 agosto era mano nella mano con lo zio sulle Ramblas. Il terrore criminale e senza senso scatenato da ragazzi di una ventina di anni più di lui lo ha rubato all’amore dei suoi cari. Lui con lo zio e altri 14 persone, fra cui un altro bambino australiano e 2 italiani (Luca Russo e Bruno Gullotta). Come scuola (un luogo dove il terrore non può entrare) e come povero cristiano esprimo a tutti loro le condoglianze (c’è un venerdì santo ogni santo giorno, in questa valle).
Ma esprimo anche la mia ammirazione a suo padre che ha detto pochi giorni fa queste parole: “So che è morto anche un altro bambino. Non ho potuto conoscere i suoi genitori, ma condivido il loro dolore. Con tutti condivido il dolore, anche con i familiari dei terroristi. Lo condivido. Siamo persone. Siamo molte, molte, molte persone. Non sto parlando così perché sono drogato. Non assumo nessuna droga: parlo così perché ne ho bisogno. Sto parlando con il cuore”. E ancora: “Desidero che la morte di mio figlio serva a qualcosa”. Lo dice appellandosi al carattere coraggioso della Catalogna. “Ho bisogno di abbracciare un musulmano. Che questa gente non abbia paura”.
Qualche ora dopo aver pronunciato queste parole, Javier ha stretto in un abbraccio consolatore l’imam supplente di Rubí, Driss Sally. Ho messo la foto qui in alto.
Le droghe sono quelle che ci intasano il cervello: la banalità del razzismo, la stoltezza della paura, le risposte semplici della violenza e della chiusura. Il gesto di questo padre di una nostra scuola marista lascia senza parole, ma è un luogo altissimo da cui ripartire come scuola, la capacità di perdono (a noi, agli altri) la volontà di non disperare, la forza di non aver paura, la resilienza, il saper vivere sopra il nostro rancore e disperazione (che non è sopravvivere) . Questo abbraccio non è propriamente un luogo, lo so, ma è un gesto a cui penso la nostra scuola deve preparare. Un luogo da cui rincominciare perché è un gesto cristiano (le braccia aperte di quel non soprammobile che abbiamo in ogni classe), è un gesto marista (la Pietà di una ragazza che dà bellezza anche all’indicibile)
Il Sudafrica di Pietro (o del mettersi in gioco)
A fratel Pietro Bettin piace giocare. Per chi non lo sapesse è il responsabile della piccola comunità dei fratelli di Genova, (siamo tre, troppo pochi per bisticciare), è stato direttore e preside dello Champagnat negli anni novanta dell’altro secolo, è stato grande giocatore di Badminton, di scacchi, è nuotatore assiduo, fisarmonicista, prof. di Inglese, suonatore di chitarra, fumatore (con moderazione) di toscani: una brava persona, insomma.
Avrebbe tutto il diritto di godersi una dorata pensione e passeggiare per corso Italia tenendo d’occhio ogni mattina Portofino (a dire il vero questo lo fa…). Invece no, si rimette in gioco, si butta in una nuova avventura, all’inizio di Settembre parte per il Sudafrica (ringrazio il Console Onorario De Barbieri che è vicino allo Champagnat, specie in questa circostanza). Una nuova comunità (mista, come si usa ora, due fratelli e due laici, una donna), una nuova missione ancora da scoprire, (il vescovo ha detto: venite, quello che c’è da fare lo vediamo dopo…), una nuova terra. Una scelta coraggiosa quella di Pietro, un mettersi in gioco che ci è da stimolo a tutti. Ecco una terra alla quale vogliamo assomigliare quest’anno, la terra del coraggio, dello spirito di avventura, dell’apertura allo Spirito che chiama (e che dà energia) un luogo da cui ripartire in quest’anno scolastico.
Tutti ai luoghi di partenza!
Potevo parlare della nuova aula di scienze o delle tende dell’asilo, dei nuovi docenti o del progetto di nuova scuola che partirà il prossimo anno, lo farò più avanti. Per ora ho indicato tre spazi da abitare in questo nuovo anno scolastico, tre luoghi da cui io vorrei ripartire, io vorrei rincominciare. Lo slogan delle nostre scuole mariste per quest’anno è Muoviti! Se non vogliamo che rimanga un trucchetto retorico dobbiamo sapere da dove (e ancora di più verso dove…).
Partire da nuovi spazi di attenzione, di perdono, di coraggio mi sembra possa servire alla nostra scuola, alle nostre famiglie, ad ognuno di noi.
Muoviti!
Buon viaggio